1970. Con le moto in Patronato. Al Sacro Cuore
Una forma di Biathlon quantomeno inusuale, inscenata in uno dei templi del playground di Mestre, il campetto da basket del Patronato Sacro Cuore di via Aleardi.
L’anno è il 1970 e ci possiamo riparacadutare in quel periodo grazie al fornito cassetto delle memorie riaperto dall’allora presidente della Polisportiva Aleardi, Luciano Castro. L’uomo con gli occhiali nella foto qui a fianco, difficilmente immortalato senza l’immancabile sigaretta accesa in una delle sue mille attività.
Una primavera piovosa, non impedisce alla festa della parrocchia di svolgersi. E di mettere in competizione i ragazzi in una prova di regolarità con piccole motociclette e ciclomotori: non si può certo dire tirate a tutto gas pensando alle dimensioni del campetto. La sgasata poteva prolungarsi per 5, 10 metri al massimo, prima di dover per forza rallentare.
Ma a complicare la prova di regolarità dei piccoli centauri era il percorso a Gimkana, con birilli sparsi lungo tutta la pista.
E la seconda parte è invece dedicata al basket: le moto si fermano, vengono appoggiate a terra ed il pilota si deve improvvisamente trasformare in cecchino capace di insaccare più volte il pallone a canestro. Palla che, tra l’altro, non è propriamente a spicchi ma è un SuperTele Rigonfiabile, incubo di tanti piccoli portieri di patronato degli anni ’70 che non potevano mai immaginare quali traiettorie avrebbe preso la palla (leggerissima e quindi in balia delle correnti) una volta calciata dall’attaccante di turno. Nel basket, con traiettorie più brevi, forse funzionava meglio.
In alto, sulla prima foto della pagina, la bandiera sventola il motto “Forza Aleardi sei la più forte“. L’incitamento più in voga era “Olio, petrolio e acqua minerale, per batter l’Aleardi ci vuol la Nazionale“. Qualcuno portava al campo (di provenienza dalle tribune dello stadio Baracca) le raganelle, strumenti girevoli in legno che producevano un fastidioso e continuo suono simile, appunto, al gracidare delle rane.
Ed a guardare c’erano tutti. Ma proprio tutti. Alla festa di quartiere ognuno era convocato. E nessuno escluso.
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