Ivano Bordon, dalla Juventina Marghera all’Inter
Prima un articolo sul mai troppo rimpianto mensile 30disport, nel 2010, poco prima dei Mondiali in Sudafrica. Poi, un anno dopo, un foto appello sulla Nuova Venezia con l’invito diretto da parte dei suoi ex compagni di squadra della Juventina Marghera, di ritrovarsi a distanza di quasi cinquant’anni.
E quello stesso autunno, il ritorno a Marghera per Ivano Bordon. Dov’è nato e diventato adolescente, prima di diventare il giovane portiere prodigio di un’Inter scudettata all’inizio degli anni ’70.
Ripropongo l’articolo che scrissi per 30disport, insieme ad un paio di foto della rimpatriata Juventina tratta da Facebook
Nessuno, in Italia, come Ivano Bordon da Marghera. L’unico ad aver vinto due campionati del mondo: da calciatore nel 1982 in Spagna e da preparatore dei portieri come assistente di Marcello Lippi a Germania 2006.
Anche se continuo a ricordare con emozione un altro mondiale dove avremmo meritato migliori fortune. Argentina ’78, una grande nazionale quella di Bearzot. Se abbiamo vinto quattro anni dopo è anche per le basi gettate in Sudamerica.
Ostenta la sua “erre” margherina che quasi 50 anni di girovagare non hanno scalfito e che riemerge orgogliosa dopo qualche minuto di chiaccherata. Ivano è uno dei più grandi portieri italiani di sempre, patrimonio di più generazioni di interisti in particolare. Lui è classe 1951, nato nel quartiere urbano di Marghera. Dove ha escluso via via gli altri sport da praticare ed ha capito, dodicenne, che nel calcio gli piaceva il ruolo dell’eroe in porta, solo contro tutti.
– Si ricorda dove ha cominciato?
<Il nome? Faccio fatica a ricordarlo, ma solo quello. Ho ricordi indelebili di quell’oratorio a Marghera, con il patronato vicino al cinema. E poi, più grandicello, il peregrinare per poterci preparare. Ci allenavamo vicino alle fabbriche della zona industriale>.
Quali campi e quali sfide le sono rimaste più impresse
Il “nostro” Federale di Spinea, dove giocavamo le partite casalinghe con la Juventina. Campagna Lupia, Favaro, Mirano, Dolo. Ma quello che più resta nel cuore è lo stadio Penzo a Sant’Elena
Una di quelle partite di calcio giovanile che fanno da aperitivo alle gare ufficiali. La gente da curve e tribune le guarda con poca attenzione. Aprile 1965: Venezia-Modena, campionato di serie B.
Per me era il vero esordio in un campo da 11. Ma quello era proprio uno stadio, pieno di pubblico che ci guardava, applaudiva, fischiava. Che emozione!
Avevo 12 anni e mi allenavo con la Mestrina. Elio Borsetto è il tecnico che mi ha più spronato.
Poi feci gli allievi e gli juniores con la Juventina. E fu in quella stagione che emerse la possibilità, dopo essere stato visionato, di fare il provino con l’Inter a gennaio del 1966.
La stagione successive, Ivano Bordon era un tesserato della formazione nerazzurra, un settore giovanile della Grande Inter di Helenio Herrera.
Mai pensato di fare un altro mestiere?
No, anche se all’inizio è stata tanto dura. Il salto da Marghera a Milano, il vivere in un pensionato, il trovarmi veramente da solo. Mi ha guidato la passione e la voglia di calcio a farmi completare la scuola ed arrivare a farmi iniziare la carriera.
Il trasferimento in Lombardia, dove tuttora vive, ha assottigliato le sue amicizie? Torna mai a Marghera?
Ho sempre meno occasioni di tornare. A Marghera ho una sorella di mio padre, suo marito e tre cugini. Ma amici purtroppo no, sono 45 anni che sono venuto via e dal punto di vista delle conoscenze si sentono tutti.
L’epica serata di Berlino contro il Borussia Moenchengladbach la considera la sua partita migliore e la sua più grande emozione sportiva?
E’ una grande emozione, anche se ho avuto la fortuna di viverne altre di enormi. Esordire nell’anno dello scudetto del ’71, dove abbiamo rimontato 7 punti al Milan; averne vinti altri, essere diventato campione del mondo con la nazionale sia da giocatore che da assistente tecnico. Tante belle avventure.